Thursday, November 09, 2006

effetti del fallimento

2.5. Gli effetti del fallimento (artt. 42 - 83-bis L.F.). – La sentenza dichiarativa di fallimento produce molteplici effetti che riguardano:

- la posizione del fallito

- l’attività di impresa;

- la posizione dei creditori;

- la posizione dei terzi;

- i rapporti giuridici preesistenti.

A) Effetti nei confronti del fallito:

- il fallito deve consegnare al curatore la propria corrispondenza relativa ai rapporti compresi nel fallimento e deve comunicare al curatore ogni cambiamento di residenza o domicilio (effetti personali; il fallimento incide pertanto sulle libertà costituzionali del fallito);

- il fallito perde il possesso (non la proprietà) dei propri beni, che vengono presi in consegna e custoditi dal curatore;

- il fallito cessa l’esercizio dell’impresa.

B) Effetti sull’attività di impresa:

- il fallimento comporta la cessazione dell’attività di impresa che può essere provvisoriamente proseguita solo previa decisione del giudice delegato e parere favorevole del comitato dei creditori.

C) Effetti nei confronti dei creditori:

- il fallimento è una procedura di liquidazione del patrimonio del fallito caratterizzata dal concorso dei creditori, ovvero dal coinvolgimento di tutti i creditori finalizzato alla soddisfazione dei crediti secondo un principio di parità di trattamento (c.d. par condicio creditorum); pertanto dalla dichiarazione di fallimento nessun creditore può proseguire o iniziare alcuna azione esecutiva individuale (cioè relativa ad un singolo credito) sui beni compresi nel fallimento;

- la dichiarazione di fallimento sospende il corso degli interessi convenzionali o legali.

C) Effetti nei confronti dei terzi:

- nell’attivo fallimentare rientrano non solo i beni appartenenti all’imprenditore al momento della dichiarazione di fallimento, ma anche alcuni beni che l’imprenditore ha ceduto a terzi anteriormente al fallimento e che la legge, ricorrendo determinati rigorosi presupposti, ritiene opportuno “recuperare” al fine di ricomprenderli tra i beni soggetti all’esecuzione concorsuale e destinati a soddisfare i creditori concorsuali.

Lo strumento più diffuso ed efficace per la ricostruzione dell’attivo fallimentare è l’azione revocatoria fallimentare (artt. 67 ss. L.F.), la cui finalità è quella di incrementare il patrimonio dell’imprenditore fallito rendendo inefficaci gli atti di disposizione del proprio patrimonio compiuti dal fallito – prima del fallimento, ma entro un determinato limite temporale – e dai quali è derivato un effetto pregiudizievole per la massa fallimentare.

Più in particolare l’azione revocatoria fallimentare è un’azione giudiziaria (promossa su iniziativa del curatore) il cui effetto tipico è recuperatorio o restitutorio (e non invalidatorio), in quanto rende inefficaci per il fallimento gli atti pregiudizievoli ai creditori compiuti dal fallito e fa quindi rientrare nell’attivo fallimentare beni che sono usciti dal patrimonio del fallito creando un depauperamento del medesimo e conseguente pregiudizio per i creditori[1].

Sono suscettibili di essere revocati gli atti elencati dall’art. 67, primo comma, L.F., il cui tratto comune è quello di essere “anomali” o “anormali” in quanto non riconducibili alla fsiologica attività d’impresa e causa di un pregiudizio al patrimonio del fallito.

L’accoglimento dell’azione revocatoria fallimentare è comunque subordinato alla sussistenza di due presupposti:

a) compimento dell’atto impugnato nel corso dell’ultimo anno o degli ultimi 6 mesi prima della sentenza di fallimento (c.d. “periodo sospetto”);

b) mancata prova da parte del terzo della ignoranza dello stato d’insolvenza dell’imprenditore; la conoscenza dello stato di insolvenza è quindi presunta dal legislatore, cosicché spetta al terzo fornire la difficile prova che al momento in cui ha ha stipulato l’atto pregiudizievole con l’imprenditore poi fallito non era a conoscenza dello stato di insolvenza di quest’ultimo.

L’art. 67, secondo comma, L.F. disciplina invece la revocatoria fallimentare degli atti “normali”, sottoposta a requisiti più rigorosi in quanto spetta al curatore provare che il terzo conosceva lo stato di insolevenza del debitore: in tal caso si presume quindi la “buona fede” del terzo.

L’art. 67, terzo comma, L.F. elenca gli atti esclusi dalla revocatoria fallimentare in quanto ritenuti dal legislatore fisiologici nell’attività d’impresa.

Il curatore ha altresì lo strumento dell’azione revocatoria ordinaria (dai presupposti meno rigorosi) disciplinata dagi artt. 2901 ss. cod. civ. (art. 66 L.F.).

D) Effetti sui contratti in corso di esecuzione

Il fallimento non determina di per sé la risoluzione automatica dei contratti in corso di esecuzione dal fallito.

Il principio generale (dettato dall’art. 72 L.F.) è che spetta al curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, decidere se subentrare ai contratti pendenti in luogo del fallito assumendo tutti i relativi diritti ed obblighi, ovvero sciogliersi dal contratto.

Gli artt. 72-bis ss. L.F. disciplinano gli effetti della dichiarazione di fallimento su alcuni contratti tipici.



[1] Per capire l’importanza pratica dell’azione revocatoria fallimentare, si può prospettare a titolo esemplificativo il caso in cui un imprenditore che si trova in stato di insovenza (ma ancora non è stato dichiarato fallito), allo scopo di tacitare un proprio creditore che minaccia di promuovere istanza di fallimento nei suoi confronti, vende la propria barca di lusso a quest’ultimo ad un corrispettivo di € 100.000,00 a fronte di un prezzo di mercato pari ad € 500.000,00.

E’ evidente che il creditore che ha acquistato la barca ha “fatto un affare”, laddove il fallito si è nettamente impoverito con pregiudizio per la massa attiva fallimentare ed i creditori concorsuali. Esperendo l’azione revocatoria, il curatore conseguirà la restituzione della barca alla massa attiva; la barca potrà quindi essere venduta a terzi al giusto corrispettivo, il quale andrà ad incrementare l’attivo fallimentare a beneficio di tutti i creditori concorsuali.

No comments: