Wednesday, October 03, 2007

caso 1° settimana

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI TORINO

I sezione civile

riunito in camera di consiglio in persona di:

Dott. Enzo Troiano Presidente

Dott. Massimo Macchia Consigliere

Dott. Adriano Patti Consigliere rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n° 549 del Ruolo Generale per gli affari contenziosi dell’anno 2007 e posta in deliberazione ai sensi dell’art. 352 c.p.c. promossa da:

V. C., residente in Ghiffa (VB), in proprio e quale legale rappresentante della MASSERIA PUGLIESE S.r.l. in liquidazione, con sede in Verbania, elettivamente domiciliato in via Peyron 1, presso lo studio dell’Avv. Luigi Landini, che lo rappresenta e difende insieme con l’Avv. Alberto Beer del foro di Verbania per mandato in atti;

APPELLANTE

CONTRO:

CASTELLANZA FORMAGGI S.p.a., in persona del legale rappresentante, con sede in Busto Arsizio (VA), elettivamente domiciliata in Torino, via Sagliano Micca 4,

presso lo studio dell’Avv. Vincenzo Fanelli, che la rappresenta e difende insieme con l’Avv. Miriam Arabini del foro di Busto Arsizio per mandato in atti;

APPELLATA

FALLIMENTO MASSERIA PUGLIESE S.r.l. in liquidazione, in persona del Curatore, con studio in Verbania;

APPELLATO CONTUMACE

Conclusioni delle parti

Per l’appellante:

“Voglia codesta Ill.ma Corte d’Appello adita, reiectis contrariis,

dichiarare nulla, illegittima o inefficace e pertanto revocare la sentenza dichiarativa di fallimento contro la Masseria Pugliese S.r.l. di V. C. e M. Bruno. n. 4/07 del Tribunale di Verbania, datata 15 febbraio 2007 e pubblicata il 24 febbraio 2007, in quanto nulla ed emessa in violazione del disposto di cui all’art. 1 l.f., in ordine alla assoggettabilità alla disciplina fallimentare.

Con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio.”

Per Castellanza Formaggi s.p.a.:

“Voglia codesta Ill.ma Corte d’Appello adita, reiectis contrariis,

rigettare il ricorso avverso la sentenza dichiarativa di fallimento n. 4/07 pubblicata il 24 febbraio 2007 pubblicata il 24 febbraio 2007, pertanto confermandola.

Con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio.”

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 5 aprile 2007, Masseria Pugliese S.r.l. in liquidazione, in persona del legale rappresentante, premesso di essere stata dichiarata fallita, su ricorso (presentato il 6 dicembre 2006) della creditrice istante Castellanza Formaggi s.p.a., in persona del legale rappresentante, dal Tribunale di Verbania con sentenza pubblicata il 24 febbraio 2007, proponeva appello, ai sensi del novellato (con il d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5) art. 18 l. fall., avverso la predetta sentenza, davanti a questa Corte nei confronti della curatela fallimentare e della creditrice istante, chiedendone, sulla base di due motivi di gravame, la riforma, con la revoca del fallimento dichiarato.

Nella resistenza, con argomentata confutazione dei vari mezzi, di Castellana Formaggi S.p.a., in persona del legale rappresentante, che concludeva per la reiezione dell’appello avversario e la contumacia invece del Fallimento appellato, dopo la relazione, all’odierna udienza, del consigliere incaricato e la discussione dei difensori delle parti costituite, la Corte decideva la causa, sulle precisate conclusioni in epigrafe trascritte, dando lettura del dispositivo in pubblica udienza (riservandone la motivazione nei quindici giorni successivi).

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di gravame, Masseria Pugliese S.r.l. in liquidazione si duole, in persona del legale rappresentante, che il tribunale abbia erroneamente applicato l’art. 1, secondo comma l. fall., ravvisando, pure in assenza, sulla base della nota della Guardia di Finanza del 22 dicembre 2006 e della documentazione in atti, dei requisiti dimensionali stabiliti dalla novellata disposizione (conseguimento di ricavi lordi, calcolati sulla base dell’ultimo triennio, per un ammontare complessivo annuo superiore a € 200.000,00; investimenti nell’azienda per un capitale di valore superiore a € 300.000,00), la ricorrenza del requisito soggettivo di fallibilità, in esito alla ritenuta perdurante vigenza, anche ai fini individuativi dell’area di fallibilità, dell’art. 2083 c.c., escluso nell’integrazione dei suoi requisiti di piccola imprenditorialità in capo all’odierna appellante, in particolare per la forma (società di capitali) e per l’oggetto (vendita all’ingrosso di generi alimentari) dell’attività di impresa esercitata: dovendosi, infatti, correttamente negare ogni residuo spazio di vigenza, per una valutazione qualitativa (in funzione integrativo-sostitutiva), quale quella espressa dall’art. 2083 c.c., a fronte della chiara scelta legislativa di un apprezzamento delle dimensioni dell’impresa, ai fini concorsuali, esclusivamente quantitativo.

Eccepisce Castellana Formaggi S.p.a. l’infondatezza del mezzo, per la corretta argomentazione del tribunale, a fondamento del fallimento dichiarato, in esito ad un’esatta interpretazione dell’art. 2083 c.c., così come applicato nella giurisprudenza (ampiamente richiamata) consolidatasi nella vigenza della legge fallimentare anteriore alla riforma.

Con il secondo motivo di gravame, Masseria Pugliese S.r.l. in liquidazione deduce l’erronea applicazione dell’art. 1, secondo comma l. fall., sotto il subordinato profilo dell’indebita considerazione, ai fini della valutazione di preminenza del capitale investito sul lavoro (in particolare, personale dei soci) impiegato nell’attività di impresa svolta, nell’ottica interpretativa dell’art. 2083 c.c., di parametri reddituali riferiti all’intero periodo (e non soltanto all’ultimo triennio).

In ordine al primo motivo di gravame, relativo a violazione dell’art. 1, secondo comma l. fall. (nel testo sostituito dall’art. 1 d. lg. 9 gennaio 2006, n. 5, in vigore dal 16 luglio 2006), per la ritenuta applicazione dell’art. 2083 c.c., la Corte osserva, in via di premessa, come non sia in contestazione tra le parti (e, d’altronde, effettivamente risultando, per diretta verifica anche di questo giudicante della documentazione versata in atti), l’insussistenza dei sopra richiamati requisiti soggettivi, prescritti dalle lettere a), b) della disposizione in esame.

Ciò posto in linea di fatto, occorre rilevare come il novellato art. 1 l. fall., nel ribadire, al primo comma, la soggezione alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo (abrogata l’amministrazione controllata dall’art. 147 d. lg. 5/2006) degli imprenditori esercenti un’attività commerciale, con esclusione degli enti pubblici e de”i piccoli imprenditori”, abbia chiaramente indicato come “ai fini del primo comma, non sono piccoli imprenditori” coloro che esercitino un’attività commerciale, in forma individuale o collettiva, caratterizzata, anche in via alternativa, dai suddetti requisiti dimensionali.

Pur nella corretta rilevazione, da parte di attenta dottrina, del difetto di coordinamento della locuzione con gli artt. 2221 (secondo cui sono soggetti alle procedure concorsuali “gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale … esclusi i piccoli imprenditori”) e 2083 c.c. (secondo cui tali sono, oltre che i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani ed i piccoli commercianti, “coloro che esercitano un’‘attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”), per l’assoggettabilità a fallimento, nel superamento dei parametri indicati dalla novella legislativa, anche di soggetti pur rientranti nella qualificazione codicistica di piccolo imprenditore, come pure dell’equivoca formulazione dell’esenzione concorsuale (“non sono …”), pare a questa Corte che la volontà del legislatore al proposito sia sufficientemente chiara e come tale debba essere applicata dall’interprete.

Come da subito e perspicuamente osservato, non può, infatti, sfuggire la ben diversa nettezza di affermazione del legislatore del 2006 (“non sono” piccoli imprenditori), in sé autosufficiente e senza rimandi ad altre nozioni, rispetto al legislatore del 1942 (“sono considerati” piccoli imprenditori), che invece lasciava un diverso spazio, sul piano definitorio, seppure ai fini concorsuali, ad assimilazioni richiamanti una più generale nozione di piccolo imprenditore, appunto contenuta nell’art. 2083 c.c.

Ancora sul piano della chiarezza, neppure può essere sottaciuta l’inequivoca limitazione, all’esordio del secondo comma, dei “non piccoli imprenditori”, così come individuati alle lettere a), b) dello stesso comma, “ai fini del primo comma” e pertanto ai soli fini della soggezione alle procedure concorsuali (andandone esenti i piccoli):

ciò che peraltro non deve destare, ad avviso di questa Corte, particolari preoccupazioni di incoerenza rispetto ad una pretesa nozione unitaria nell’ordinamento (neppure concorsuale, per la ragione detta) di piccolo imprenditore, così inducendo la conclusione della nuova individuazione, non già di una nozione fallimentare di imprenditore piccolo, quanto piuttosto di una presunzione legale di impresa media o comunque non piccola ai fini fallimentari o addirittura di piccolo imprenditore in via di eccezione (così: Trib. Firenze 31 gennaio 2007, in Fall., 2007, 591 s.m.).

E’ da sempre ben nota, infatti, la difficoltà di una definizione unitaria nel nostro ordinamento di piccolo imprenditore o di piccola impresa, che, secondo il disorganico quadro legislativo “di settore” esistente, coinvolge realtà imprenditoriali tra loro sommamente distanti, da organismi produttivi minimi (riconducibili al tradizionale dettato dell’art. 2083 c.c.) a modelli imprenditoriali più complessi per struttura organizzativa e dimensioni, come in particolare emergente dai criteri di individuazione delle piccole e medie imprese, in termini dimensionali, occupazionali e di investimento del d.m. 18 marzo 1997, di aggiornamento del precedente d.m. 22 marzo 1994, in attuazione del d.l. 20 maggio 1993, n. 142, previsti dal legislatore nazionale, sia pure ai fini dell’adeguamento alla disciplina comunitaria per l’accesso alle agevolazioni previste per tali imprese appunto.

Pare allora in contrasto con il dato effettivo di realtà continuare ad inseguire un presunto modello qualitativo di piccolo imprenditore (la cui univocità peraltro neppure è mai stata attinta, come attestato dal travagliato dibattito interpretativo, in ordine alla incertezza definitoria della nozione contenuta nell’art. 2083 c.c., in riferimento all’individuazione del bilanciamento dei parametri di capitale e di lavoro, alla distinzione, anche a tali fini, tra imprenditore individuale e collettivo, nonché al rapporto con l’impresa artigiana), una volta che il legislatore si sia espresso con (sufficiente) chiarezza, nel senso di un’opzione quantitativa.

Una tale scelta, liberata da sempre problematici (e spesso ambigui) accertamenti di natura qualitativa, appare, innanzi tutto, coerente con il criterio direttivo della legge delega di “semplificare la disciplina attraverso l’estensione dei soggetti esonerati dall’applicabilità dell’istituto” fallimentare (art. 1, sesto comma, lett. a, p.to 1 l. 14 maggio 2005, n. 80), cui risponde anche l’espresso riferimento ad ogni forma di imprenditorialità, individuale e collettiva, all’evidente scopo di superare ogni controversa interpretazione, in ordine all’inclusione o meno delle società commerciali nel novero della categoria del piccolo imprenditore.

In ordine poi alla portata dell’intervento normativo, neppure appare dubbio l’intendimento di una ridefinizione dell’ambito soggettivo di applicazione dell’istituto fallimentare, come ben chiarisce la relazione di accompagnamento all’art. 1 del d.l. 5/2006, che illustra poi come “l’ampliamento dei soggetti esonerati” sia “stato inteso in senso quantitativo e non meramente qualitativo”: così ponendosi, al di là della concreta individuazione di criteri e di parametri, in continuità con quell’indirizzo riformatore configurante il piccolo imprenditore sulla base di indici oggettivamente misurabili, con criteri, volta a volta, fondati: “sul totale dell’attivo patrimoniale, sul totale dei ricavi e sul numero dei dipendenti e tenendo conto di parametri ponderati in funzione del prodotto interno lordo di ciascuna Regione” (artt. 4, primo comma, lett. b e 5, primo comma, lett. b dello schema di disegno di legge delega approvato dalla maggioranza della commissione ministeriale istituita con d.m. 28 novembre 2001); sulla realizzazione, nei tre anni precedenti l’apertura della procedura, di un importo di ricavi (inizialmente indicato in € 250.000), periodicamente aggiornabile (art. 2, lett. e dello schema di disegno di legge della commissione ministeriale istituita con d.m. 27 febbraio 2004); sull’entità di investimento di capitale (inizialmente indicato in € 100.000) negli ultimi cinque anni, periodicamente rivalutabile secondo gli indici Istat (art. 1 del disegno di legge n. 5736, Camera dei deputati, XIV Legislatura, cd. “maxiemendamento”).

Come ben si comprende, tutti i suddetti parametri sono il frutto dell’adozione “quale unico criterio” di individuazione del piccolo imprenditore, ai fini dell’applicazione della disciplina concorsuale, di “quello quantitativo” (come, in particolare affermato nella relazione di accompagnamento al suddetto “maxiemendamento”): ed in tale solco si è posto appunto il legislatore del 2006.

Appare allora ineludibile a questa Corte, secondo il tenore letterale della disposizione letto alla luce della volontà del legislatore, come sopra criticamente esaminata, che, ai fini dell’attuale individuazione degli imprenditori soggetti alle procedure concorsuali, debba farsi esclusivo riferimento ai criteri dimensionali prescritti dal novellato art. 1, secondo comma l. fall., senza alcun residuo spazio applicativo per l’art. 2083 c.c. (in tale senso, tra le prime interpretazioni edite, pure: Trib. Catania 28 novembre 2006, decr., in Fall., 2007, 558; Trib. Mantova 1 febbraio 2007, ivi, 2007, 591).

Alla luce delle superiori argomentazioni, pare evidente che il Tribunale di Verbania abbia disatteso i suddetti canoni interpretativi, erroneamente ravvisando la vigenza dei criteri (nel verificato difetto di quelli dell’art. 1, secondo comma l. fall.) previsti dall’art. 2083 c.c. (non ricorrenti in capo alla Masseria Pugliese S.r.l. in liquidazione, anche tenuto conto della sua forma organizzativa e dell’oggetto della sua attività, per la preminenza in essa del capitale investito sul lavoro impiegato, con particolare riferimento all’entità dei ricavi conseguiti durante tutto il periodo di operatività), per tale via ermeneutica pervenendo alla sua dichiarazione di fallimento: sicchè essa, in accoglimento del mezzo esaminato (con assorbimento del secondo subordinato), deve essere revocata.

La novità della questione interpretativa costituisce, infine, giustificato motivo per la compensazione integrale tra le parti delle spese del presente grado.

P.Q.M.

La Corte d’Appello

V° l’art. 18 l. fall.,

in accoglimento dell’appello proposto da V. C., in proprio e in qualità di legale rappresentante della Masseria Pugliese S.r.l. in liquidazione, avverso la sentenza dichiarativa del fallimento della società anzidetta,

revoca

il fallimento dichiarato dal Tribunale di Verbania con sentenza n. 4 del 15 – 24 febbraio 2007;

dichiara

interamente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio;

fissa

il termine di quindici giorni per il deposito della motivazione.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del 15 giugno 2007

Il Presidente

Il Consigliere Est. (Dott. Enzo Troiano)

(Dott. Adriano Patti)

Pubblicata il 22 giugno 2007

2 comments:

UNIVER said...

Buon giorno professore,
c è una cosa che non riesco a capire nella prima parte riguardante i motivi della decisione:
dice:Masseria Pugliese si duole che il tribunale abbia erroneamente applicato l’art. 1, secondo comma l.f..Perchè dice cosi se Masseria Pugliese sta facendo ricorso per il fatto che era stato fatto l uso dell art.2083 che viene soppiantato dall art.1 l.f.?

c.c. said...

il tribunale, nel dichiarare il fallimento, applica necessariamente l'art. 1 l. fall.
il ricorrente Masseria pugliese ritiene che l'art. 1 l. fall. debba invece essere interpretato in senso difforme rispetto a quanto fatto dal tribunale in primo grado, nel senso che l'art. 2083, in combinato con l'art. 1 l. fall., condurrebbe ad una differente nozione di piccolo imprenditore.

in sostanza, la norma da applicare è sempre l'art. 1 l. fall, ma l'art. 2083 è la "stampella interpretativa", che dovrebbe condurre ad un differente risultato.